Principio di prudenza in contabilità, definizione e applicazioni

La redazione delle scritture contabili segue criteri ben precisi. Tra questi, il principio di prudenza che permette di ricavare un’immagine più nitida dell’andamento aziendale. Il principio di prudenza non è l’unico criterio contabile previsto dalla normativa, ma la sua applicazione è essenziale per costruire un bilancio d’esercizio realmente efficace.
Che cosa si intende per principio di prudenza?
In contabilità aziendale, il principio di prudenza è uno dei principi che regolano la redazione del bilancio civilistico (o aziendale), secondo quanto stabilito dall’art. 2423-bis del Codice Civile.
La legge infatti stabilisce che, nel bilancio aziendale, «si possono indicare esclusivamente gli utili realizzati alla data di chiusura dell'esercizio» ma anche che «si deve tener conto dei rischi e delle perdite di competenza dell'esercizio, anche se conosciuti dopo la chiusura di questo». Il principio di prudenza si manifesta proprio lì, in questi due punti.
Per spiegarlo con parole più semplici, diciamo che il principio di prudenza è un invito a essere cauti nella contabilizzazione dell’utile d’esercizio, che è il vero guadagno di un’azienda, e di limitarsi all’utile già realizzato. Allo stesso tempo però, suggerisce di tener conto delle perdite, anche nel caso in cui queste si concretizzino dopo la chiusura dell’esercizio.
Così facendo, al momento della chiusura del bilancio, l’immagine che se ne trae risulta sì leggermente distorta, ma in modo da favorire una valutazione prudente dell’andamento aziendale. Anche perché gli utili non ancora realizzati non sono utili d’esercizio a tutti gli effetti.
Se guardiamo alla questione da una prospettiva di cassa, quindi tenendo conto degli incassi e non dei ricavi, ci sembrerà più allora evidente il rischio che un incasso non realizzato si tramuti in un credito insoluto. Uno scenario che ha conseguenze dirette sulla maturazione degli utili. Per questo motivo è d’obbligo essere cauti nella contabilizzazione dei profitti.
Questa logica non si applica, però, alle perdite d’esercizio. In questo caso, infatti, il Codice Civile chiede esplicitamente che si includano nel bilancio anche le perdite non ancora realizzate.
Possiamo qui fare il ragionamento opposto, sempre a partire da una prospettiva di cassa. Un’azienda va in perdita quando i costi superano i ricavi, a prescindere dal fatto che tali costi siano stati coperti o meno. Anzi, se la tua attività imprenditoriale è in perdita, è probabile che non disponga di liquidità a sufficienza per coprire i costi (insomma, per pagare le fatture).
Quelli sono comunque pagamenti dovuti, debiti commerciali o finanziari, che incidono molto sul bilancio di fine esercizio e, più in generale, sull’andamento dell’attività di un’impresa.
Appare allora chiaro il motivo per cui le regole di contabilità tengano in forte considerazione il principio di prudenza: per quanto controintuitivo possa sembrare, una visione leggermente pessimista è in grado di favorire la crescita dell’azienda.
Altri principi contabili da considerare
Il principio di prudenza non è l’unico principio contabile previsto dall’art. 2423 del Codice Civile. Sia chiaro: i principi non sono nominati esplicitamente nel testo dell’articolo. La denominazione di ogni principio contabile è una scelta arbitraria degli esperti in materia.
Il riferimento qui sarà allora la Fondazione OIC (Organismo Italiano Contabilità), che nel suo testo ufficiale sulle “Finalità e postulati del bilancio d’esercizio” indica:
- il principio di competenza
- il principio di continuazione dell’attività
- il principio di rappresentazione sostanziale
- il principio di costanza nei criteri di valutazione
- il principio di rilevanza
- il principio di comparabilità
Come vedi, tra questi non figura il principio di cassa. Perché?
Il motivo riguarda il campo di applicazione del principio di cassa. Si tratta infatti di un criterio contabile che interessa le aziende a contabilità semplificata. Nello specifico parliamo di piccole o medie imprese, liberi professionisti e ditte individuali.
Per tale motivo il principio di cassa non è incluso tra i criteri menzionati nel Codice Civile, ma rientra comunque nelle Norme Italiane di Contabilità adottate dalla stessa Fondazione OIC.
Quando si applica il principio di prudenza?
Il principio di prudenza si applica nel regime contabile ordinario. Questo vuol dire che interessa le scritture contabili che seguono il criterio di competenza, ovvero quelle che registrano costi e ricavi di un esercizio, a prescindere dalla loro manifestazione finanziaria.
Proviamo a spiegarlo in altre parole.
In regime di contabilità ordinaria, il bilancio aziendale (in particolare il conto economico) registra a fine anno i costi e i ricavi di competenza dell’esercizio in corso. Tiene conto, insomma, del totale delle fatture emesse e del totale delle fatture ricevute.
A chiusura dell’esercizio, non è detto che queste operazioni economiche abbiano avuto manifestazione finanziaria. È probabile, infatti, che restino fatture da pagare e incassi da ricevere.
Le aziende che applicano il principio di cassa devono escludere dal bilancio di fine anno tutte le operazioni economiche che non hanno prodotto movimenti di cassa. Le aziende che invece seguono il criterio di competenza sono tenute a registrare in bilancio tutte le operazioni dell’esercizio.
Chiarito questo punto, è evidente il motivo per cui l’applicazione del principio di prudenza si rende necessaria.
Il calcolo dei profitti di un’azienda non può basarsi su incassi e pagamenti previsti. Al contrario, è meglio considerare soltanto gli utili effettivamente disponibili nella cassa aziendale – quindi i ricavi incassati al netto dei costi coperti. Applicando il principio di prudenza, avrai un’immagine forse più pessimista ma certamente più cauta e utile per valutare lo stato di salute della tua azienda.
Non fraintenderci! Incassi e pagamenti previsti possono essere molto utili alla crescita dell’attività: ma questa è un’altra storia. Che puoi approfondire qui → Perché il cash flow previsionale fa bene all’azienda
Va sottolineato, tra l’altro, che l’utile d’esercizio è anche una delle voci del patrimonio netto, così come previsto dallo stato patrimoniale. In altre parole, il profitto di un’impresa influisce direttamente sul valore del suo patrimonio.
È chiaro quindi perché è importante essere cauti nel calcolo degli utili: un mancato pagamento o un problema di liquidità imprevisto possono intaccare il valore dei profitti; a quel punto, ti ritroveresti con un bilancio aziendale che non rispecchia la reale condizione economico-finanziaria della tua attività.
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