Come far fruttare la liquidità extra della tua impresa tramite i certificates

Un tema e, a volte, un problema che accomuna molte PMI è la capacità di saper identificare e investire in modo opportuno l’eventuale liquidità in eccesso tramite strumenti finanziari adeguati. Tenere immobilizzato il denaro sul conto corrente aziendale è infatti una scelta sbagliata sia da un punto di vista economico sia finanziario. Ma quali strumenti scegliere? Una possibile alternativa è rappresentata dai “certificates”. In quest’articolo, vedremo cosa sono e come funzionano tali certificati e scopriremo perché possono rappresentare un modo interessante per sfruttare le eventuali risorse liquide in eccesso della tua azienda.
Che cosa sono i certificati (o “certificates”) di investimento bancari in finanza?
Un “certificate” è uno strumento finanziario derivato cartolarizzato con una complessità elevata che viene negoziato sul mercato Sedex (mercato regolamentato telematico di Borsa Italiana) o su altri mercati regolamentati, come il Cert-X di EuroTLX (sempre sotto il controllo di Borsa Italiana).
I certificate vengono emessi da intermediari e istituzioni finanziarie (detti “market maker”) come le banche e permettono di prendere posizione su un’ampia gamma di asset sottostanti, tra cui: azioni, obbligazioni, indici, materie prime, valute, tassi di interesse, ecc.
La peculiarità di questi strumenti finanziari è quella di adattarsi sia a investitori, in questo caso imprese, con un profilo di rischio elevato sia ad aziende che, invece, cercano prodotti con un rapporto rischio/rendimento più basso.
Infatti, a seconda del sottostante, dell’orizzonte temporale e delle diverse opzioni scelte (tipo di rendimento, utilizzo della leva finanziaria, inserimento dello stop loss o del take profit, tasso di interesse, ecc.) possiamo avere tipologie diverse di certificati.
Tipologie e caratteristiche dei certificati finanziari derivati
I certificati sono titoli al portatore estremamente flessibili, capaci di adattarsi a diverse esigenze di investimento. Sinteticamente, essi replicano, con o senza l’utilizzo della leva, l’andamento dell’asset sottostante.
In base al livello di protezione del capitale (e a una serie di opzioni accessorie caratterizzanti), è possibile distinguere quattro tipi principali di certificati:
- Capitale garantito/protetto
- Capitale condizionatamente protetto
- Capitale non protetto
- Con leva
A queste quattro categorie, si può aggiungerne una quinta rappresentata dai “credit linked notes” che, tuttavia, offrendo un rendimento cedolare, sono più simili ai bond.
Vediamo, più nel dettaglio, le caratteristiche e le peculiarità delle quattro categorie più diffuse di certificate.
“Certificates” a capitale garantito/protetto
Il certificato a capitale protetto o garantito è un prodotto finanziario che consente di investire in diversi asset, garantendo la tutela del capitale investito. Tali certificati devono essere sottoscritti durante la fase di collocamento e detenuti per tutta la durata del contratto (la cosiddetta “vita del certificate”).
A seconda delle opzioni scelte, i certificati a capitale protetto si dividono in altre sottocategorie, tra cui: equity protection, butterfly e double win. In linea generale, essi offrono una protezione del capitale svincolata dagli scenari di mercato, con un profilo di rischio basso, assimilabile a quello dei bond e con un orizzonte temporale di lungo termine.
Capitale condizionatamente protetto
In questo tipo di certificati vi è una garanzia parziale del capitale investito, condizionata dalla situazione del mercato. In fase di emissione, infatti, vengono stabilite delle barriere (“continue” o “a scadenza”), al di sotto delle quali non è più garantito il rimborso e la protezione del capitale.
Rispetto alla precedente tipologia, questo prodotto offre un rendimento maggiore, ma ha anche un livello di rischio più elevato. L’orizzonte temporale, inoltre, può essere sia di medio sia di lungo termine.
Due sottocategorie di certificato a capitale condizionatamente protetto sono il “twin win”, che prevede una doppia opzione di rendimento, e il “bonus” che, invece, permette di ottenere alla scadenza il rimborso del capitale maggiorato di un bonus se, durante la vita del certificate, il sottostante non sia mai sceso al di sotto di un determinato livello barriera.
Capitale non protetto
Questi strumenti finanziari replicano esattamente l’andamento del sottostante e non prevedono alcuna protezione del capitale investito. Hanno, dunque, un livello di rischio più alto rispetto alle precedenti tipologie, equiparabile agli investimenti nel mercato azionario.
In linea generale, la scelta di questi certificati rappresenta un’alternativa all’investimento diretto nel sottostante.
Tra le sottocategorie vi sono i certificati “outperformance”, “discount” e i “benchmark” che rappresentano i prodotti a capitale non protetto più diffusi.
Da un punto di vista temporale, la vita del certificate non protetto è, generalmente, di breve termine.
Certificati con effetto leva
Il “certificato con leva”, o “leverage certificate”, replica la performance del sottostante, al rialzo (“bull”) o al ribasso (“bear”), moltiplicandola tramite l’effetto leva (fissa o dinamica).
Il certificato con leva comporta un rendimento ma anche un profilo di rischio estremamente elevato, per cui tale prodotto risulta più adatto agli investitori, ossia alle imprese, che hanno un orizzonte speculativo di breve termine e che cercano di sfruttare al massimo le risorse liquide in eccesso, mettendo anche in conto la possibilità di perdere totalmente il capitale investito.
Come funzionano i migliori certificates con leva?
Sia il certificato con effetto leva rialzista sia ribassista presenta uno “stop loss”, ossia una barriera posizionata al di sopra o allo stesso livello del prezzo strike. Al raggiungimento di tale soglia, il certificato con leva si estingue anticipatamente.
Questo meccanismo consente all’emittente di tutelarsi, rientrando del finanziamento concesso all’investitore. Le sottocategorie più diffuse di questi strumenti finanziari sono i “minifutures” e i “turbo”.
Data l’elevata rischiosità del certificato con leva, prima di optare per questo strumento è importante analizzare con attenzione gli appositi prospetti informativi forniti dalla banca o dall’emittente di riferimento.
Come acquistare e investire in certificates
Un’impresa, una volta identificate le risorse liquide da destinare all’investimento in strumenti finanziari, può scegliere di acquistare i certificati presso la propria banca o tramite un altro emittente finanziario di fiducia.
In fase di acquisto, occorre valutare attentamente i profili di rischio, il prezzo di emissione, le peculiarità nonché la durata, ossia la vita delcertificate. È possibile, inoltre, scegliere di acquistare un certificato in fase di collocamento o di quotazione.
Collocamento, investimento e quotazioni
Una volta emessi, i certificate vengono quotati su due mercati principali: il Sedex di Borsa Italiana o sul Cert-X di EuroTLX (anch’esso sotto il controllo della stessa Borsa). La banca o il Market Maker si assume l’onere di stabilire il prezzo di quotazione, garantire la liquidità e provvedere al pagamento degli eventuali flussi cedolari.
Perché investire in certificates e come si guadagna con i certificati?
Vi sono diversi motivi che possono rendere vantaggioso per un’impresa scegliere i certificate rispetto ad altre tipologie di investimento.
Innanzitutto si tratta di strumenti versatili e altamente personalizzabili che consentono agli investitori di aprire una posizione su un’attività e di investire su un sottostante in modi diversi a seconda delle proprie esigenze e del proprio profilo di rischio.
Inoltre, in base alle condizioni scelte, i certificate permettono di:
- proteggere il capitale in caso di ribassi;
- ottenere un flusso cedolare, un rimborso o un bonus alla scadenza o al raggiungimento di determinati livelli;
- guadagnare anche in caso di trend laterale dei mercati;
- utilizzare la leva per potenziare gli eventuali guadagni;
- investire nel breve, medio o lungo termine.
A differenza dei fondi comuni e degli ETF, inoltre, i certificate non sono soggetti a commissioni di gestione. In più, l’eventuale reddito derivante dai certificate è soggetto all’aliquota del 26% ma le plusvalenze sono classificate come “redditi diversi”, il che consente di compensare e recuperare le perdite, ossia le minusvalenze, realizzate sugli altri strumenti finanziari.
Ciò, ovviamente, rappresenta un grande vantaggio in termini fiscali e contabili.
Quali sono i rischi dei certificates?
Ai sensi della comunicazione Consob (n. 0097996 del 22 dicembre 2014), i certificate sono definiti “prodotti a complessità molto elevata”.
I potenziali rischi ad essi legati sono di tre tipologie:
-
collegati all’emittente: ossia la possibilità che la banca o altro intermediario che emette il certificato non adempia all’obbligo dei pagamenti dovuti (rischio connesso all’applicazione della normativa europea sugli Enti Creditizi detta “bail-in”);
-
di mercato: trattandosi di strumenti derivati, il cui prezzo è collegato alla volatilità del sottostante e alle condizioni di mercato, i certificate possono determinare anche la perdita totale del capitale investito;
-
di liquidità: generalmente si tratta di un rischio limitato, poiché questi strumenti sono quotati su mercati regolamentati. Tuttavia, in alcuni casi, potrebbero verificarsi eventuali difficoltà in fase di smobilizzo, ossia prima della scadenza naturale del contratto.
A una PMI conviene investire in certificate?
Per un’impresa decidere di investire in certificate, o in altri prodotti finanziari, rappresenta una scelta estremamente valida per far fruttare l’eventuale surplus di liquidità.
Il capitale depositato in banca, infatti, ha un costo elevato, sia in termini di mantenimento e gestione sia di svalutazione.
Per questo, trovare strumenti finanziari adeguati è la scelta migliore per una PMI. Il vantaggio dei certificate è che, trattandosi, come visto, di strumenti molto flessibili, ogni azienda può optare per la tipologia più adatta al proprio profilo di rischio e al proprio orizzonte temporale.
Il risvolto positivo per le imprese è duplice: da una parte sfruttare e potenziare le risorse liquide in eccesso e, dall’altro, ottenere vantaggi fiscali in termini di compensazione tra plusvalenze e minusvalenze.
Ovviamente, più un’impresa è in grado di ottimizzare i propri flussi di cassa e di identificare correttamente le eventuali risorse extra e maggiore sarà il capitale da investire, possibilmente in maniera diversificata.
Alla base, quindi, vi deve essere una gestione attenta e puntuale della contabilità e della tesoreria aziendale senza cui una PMI rischia di perdere, spesso senza accorgersene, risorse liquide preziose che, invece, se allocate correttamente, potrebbero essere trasformante in rendimenti attivi.
Ma come fare per ottimizzare, identificare e gestire la liquidità in eccesso?
Una rendicontazione statica e obsoleta tramite strumenti manuali come Excel non consente di avere una visione in tempo reale sul cash flow aziendale e rende difficile l’individuazione di eventuali risorse in eccesso.
Non solo: anche la gestione delle spese, dei pagamenti verso i fornitori o l’incasso dei crediti insoluti risulta difficile per chi si affida alle tabelle di calcolo manuale.
E allora come fare?
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