Capitale di rischio, di cosa si tratta

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Fare impresa vuol dire soprattutto mettersi in gioco. Rischiare. Un gioco adrenalinico in cui sempre si contempla la possibilità di perdere. Ma cosa rischia di perdere, in effetti, chi investe nell’imprenditoria? Chi mette in piedi un’azienda, da solo o insieme ad altri soci, sa che c’è una ricchezza che potrebbe esaurirsi, e che pure è essenziale per innescare i cicli di produzione e di vendita. Il capitale di rischio è, a tutti gli effetti, l’indispensabile mezzo per far nascere una nuova attività. Bisogna però saperlo gestire.

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Cosa si intende per capitale di rischio?

Per capitale di rischio si intende l’insieme di risorse che vengono investite all’interno dell’azienda e che sono soggette al rischio di impresa. Vale a dire risorse che – nell’ipotesi di un evento sfavorevole o una cattiva gestione – verrebbero perse e non distribuite.

Il capitale di rischio è anche detto equity o capitale proprio, e va inteso infatti come quella ricchezza che è propria – di proprietà – dell’azienda, e da cui si attinge in caso di estrema necessità, per esempio nel corso di una liquidazione giudiziale.

Parliamo di ricchezza, ma attenzione a non fraintendere. Nel capitale di rischio non rientrano soltanto le risorse economiche – e quindi la liquidità in senso stretto – ma anche qualsiasi bene che sia utile all’azienda, sia esso materiale o immateriale.

In fase iniziale, infatti, è probabile che i soci fondatori investano anche le loro competenze e i loro know-how, che potrebbero fare la fortuna dell’impresa e che per questo vengono tenuti in considerazione nella quantificazione del capitale di rischio.

Cosa rientra nel capitale di rischio?

Per identificare il capitale di rischio e quello che rientra in questa definizione, dobbiamo prima tenere a mente lo sviluppo dell’impresa che si compone di diverse fasi.

Al momento della sua costituzione, per esempio, l’azienda non potrà certamente contare sui suoi profitti per sostentarsi. Il suo capitale iniziale è dato allora dai conferimenti dei soci – o dell’unico socio fondatore – il cui valore viene già indicato nell’atto costitutivo.

Nelle fasi successive, le attività di vendita generano altre entrate nelle casse aziendali; portano profitti, che sono a tutti gli effetti un capitale di proprietà dell’impresa, e che l’azienda può perdere nella sua fase di declino.

Alla luce di quanto detto finora, possiamo dire che nel capitale di rischio rientra inizialmente il conferimento dei soci; in seguito, sarà considerato capitale di rischio anche l’utile destinato a riserve e l’utile non distribuito.

Stando così le cose, è chiaro che mettere sullo stesso piano capitale di rischio e capitale proprio presenta un malinteso di fondo, e lo stesso vale per la relazione tra capitale di rischio e capitale sociale.

Il capitale proprio – che è capitale sociale nelle aziende con più fondatori – è parte integrante del capitale di rischio, e nella fase iniziale delle attività questi due valori corrispondono pienamente.

Successivamente il capitale proprio rimane tale a quale – a meno di una procedura apposita voluta dai soci – ma aumentano le riserve e gli utili; a quel punto il capitale di rischio si porrà su un altro piano rispetto al capitale proprio (o sociale).

Più corretto è invece indicare come uguali capitale di rischio e patrimonio netto. Di fatto, tutto il patrimonio netto è soggetto a rischio di impresa, ed è quindi capitale di rischio.

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Chi sono i portatori del capitale di rischio?

Come abbiamo già detto, i principali portatori del capitale di rischio sono gli imprenditori che costituiscono l’azienda. I soci fondatori, però, non sono gli unici che possono contribuire alla costituzione del capitale di rischio o al suo incremento.

Spesso succede che un’impresa che cerca di espandersi abbia bisogno del supporto di soggetti terzi che partecipano al capitale di rischio con finanziamenti e investimenti, tramite i quali inserirsi nell’elenco dei soci.

Sono diverse le figure esterne che contribuiscono al capitale di rischio di un’azienda. Tra questi possiamo trovare, per esempio, soggetti privati – quindi singoli investitori o gruppi di investitori – che nell’ambiente sono conosciuti come business angel o angel investor.

Quella del business angel è una realtà particolarmente diffusa nelle start up che riescono a incrementare il loro giro di affari proprio grazie a figure come questa.

Anche un’impresa esterna può contribuire al capitale di rischio, come succede nelle organizzazioni aziendali che prevedono la creazione di una holding al quale ricondurre più di un’azienda. Imprese di questo tipo partecipano al capitale di rischio tramite finanziamenti intercompany di varia natura.

Si possono aggiungere risorse al capitale di rischio anche tramite hedge funds o fondi di qualsiasi altra tipologia (fondi di investimento immobiliare, fondi pensione, ecc.). Ci riferiamo in questo caso a investitori istituzionali, generalmente a carattere privato, di cui fanno parte banche, società assicurative e fondazioni. L’intervento di investitori istituzionali nel capitale di rischio viene definito anche come attività di private equity.

Il settore pubblico poi investe spesso nel capitale di rischio delle aziende. Lo Stato Italiano, l’Unione Europea e altri enti pubblici possono contribuire al finanziamento delle imprese allo scopo di migliorare lo sviluppo economico di un intero territorio. Un esempio è il PNRR, un piano di investimenti pubblici per risollevare l’economia del Paese dopo la pandemia.

Infine, da molti anni ormai, il meccanismo degli investimenti si è spostato anche sul web. Sistemi come il crowdfunding permettono agli utenti di partecipare al capitale di rischio di start up già nate o in fase embrionale. In questo caso si parlerà allora di crowfunding equity, ovvero capitale di rischio che si realizza tramite raccolta fondi pubblica.

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Qual è la differenza tra capitale di rischio e capitale di debito?

Si tende spesso a fare confusione tra capitale di rischio e capitale di debito, per via del fatto che il capitale di rischio è composto anche da risorse che arrivano da soggetti terzi. In verità la differenza esiste e merita, di fatto, un approfondimento.

In primis – come abbiamo già detto – il capitale di rischio è composto sì dai conferimenti di soci e investitori, ma parte di questo deriva direttamente dagli utili, pertanto è anche il risultato delle attività commerciali e non solo degli investimenti di terzi.

Inoltre, gli investimenti sul capitale di rischio contribuiscono al capitale proprio dell’azienda; questo vuol dire che le risorse non devono essere restituite come succede per i prestiti e i finanziamenti, ma rimangono di proprietà dell’azienda.

La differenza tra capitale di rischio e capitale di debito sta proprio in questo. Il capitale di debito – che include sia i debiti commerciali sia i debiti finanziari – è un capitale che va restituito. O meglio: pagato, nel caso di debiti con i fornitori; rimborsato con interessi, nel caso di debiti di finanziamento con banche e istituti di credito.

Gli investimenti sul capitale di rischio hanno invece altra natura. Chi investe nell’azienda non chiede indietro un rimborso con interessi – se non in casi particolari, come accade per certe forme di finanziamento intercompany. Piuttosto conterà su un ritorno sul capitale investito, anche perché – investendo – diventa a tutti gli effetti socio dell’impresa.

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