Fallimento di un'impresa: cosa significa e come evitarlo

Quando coprire i debiti di un’azienda diventa una soluzione impossibile, a chi sta al timone non resta che fare un passo indietro e dichiarare il fallimento. Una decisione non proprio piacevole, perché le sue conseguenze sono gravi sia per l’imprenditore che per i suoi dipendenti. Ma una decisione necessaria, nei casi in cui non è più possibile pagare i debiti con mezzi propri e trovare, quindi, una via d’uscita. In questo articolo, proveremo a spiegare come funziona la dichiarazione del fallimento di un’impresa – partendo dai presupposti su cui si basa, fino ad arrivare alle conseguenze. Parleremo, insomma, di un punto centrale della gestione di un’azienda, così da aiutarti a comprenderlo meglio e a evitarlo fin quanto possibile.
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Il fallimento di un’impresa secondo la legge italiana
Il fallimento di un’impresa è – secondo la legge italiana – una procedura concorsuale, vale a dire una procedura che mira a liquidare un’azienda per coprire i debiti con più di un creditore, che siano questi fornitori, investitori o banche.
Parlare di «fallimento» è in realtà poco corretto, al giorno d’oggi. Una riforma della Legge Fallimentare – entrata in vigore a partire dal primo settembre 2021 – ha infatti modificato la terminologia, introducendo l’espressione «liquidazione giudiziale».
E ci sono ragioni sociali dietro questa modifica, seppur all’apparenza superflua. L’idea stessa di fallimento è infatti connotata in negativo, ovvero finisce per macchiare inevitabilmente l’immagine di chi ha portato avanti l’azienda per tanti anni.
Eppure non è poi così difficile ritrovarsi in una situazione d’insolvenza, soprattutto in tempi di crisi economica. Tanto che, con l’ultima riforma della legge menzionata poco sopra, è cambiata anche la ratio – il principio, insomma – che conduce alla dichiarazione del fallimento.
Se prima, infatti, le procedure di fallimento erano intese in chiave “punitiva” (o sanzionatoria) nei confronti degli imprenditori che non erano riusciti ad amministrare bene la liquidità, ad oggi si cerca invece di salvaguardare fin quanto possibile l’azienda e i suoi valori, e non per ultimi anche i dipendenti.
Ciò non toglie che le conseguenze del fallimento di un’impresa risultano particolarmente pesanti da gestire, e pertanto bisogna fare il possibile per riuscire ad evitarlo. Un buon punto di partenza, in tal senso, è comprendere quali sono i presupposti che portano alla dichiarazione di un fallimento, che non sempre è una procedura scontata.
Quando viene dichiarato il fallimento?
Per capire come funziona il fallimento è importante partire dalla Legge Fallimentare, e dai requisiti che tiene in considerazione. La normativa italiana stabilisce due presupposti giuridici riguardo la dichiarazione di fallimento di un’impresa. Ciò vuol dire che per parlare di fallimento non basta che ci siano debiti scoperti, e inoltre che non tutti possono dichiararlo.
Di questi due presupposti giuridici, uno è soggettivo mentre l’altro è oggettivo. Che vuol dire?
Il presupposto soggettivo ci dice quale impresa può dichiarare il fallimento. In altre parole, se è vero che il fallimento riguarda sia le imprese individuali che le imprese societarie, è importante ricordare che NON si applica a:
- enti pubblici;
- imprese agricole;
- piccole imprese.
Quest’ultimo punto, in particolare, merita un approfondimento. Le piccole imprese esenti dalla dichiarazione del fallimento sono infatti indicate dall’art. 1 della Legge Fallimentare, e sono quelle che:
- non hanno realizzato ricavi annui superiori a duecentomila euro;
- hanno investito nell’azienda una somma inferiore a trecentomila euro;
- hanno avuto un ammontare di debiti non superiore a cinquecentomila euro.
In sintesi, tutte le imprese commerciali che non rientrano in questi parametri potrebbero dichiarare fallimento, a patto di rispettare anche il presupposto oggettivo.
Il presupposto oggettivo definisce ulteriormente le situazioni in cui è possibile parlare di fallimento. In altre parole, non basta che siano presenti uno o più debiti scoperti.
Il fallimento si può dichiarare solo se l’impresa si trova in uno stato di insolvenza, ovvero in una condizione di difficoltà economica tale da rendere impossibile il pagamento di qualsiasi debito.
Nel momento in cui un’impresa commerciale – tra quelle definite dal presupposto soggettivo – non è più capace di coprire i debiti, si ritroverà costretta a dichiarare il fallimento.
Qui si parla, dunque, di situazioni economiche particolarmente gravi, ed è importante sottolinearlo.
Nel ciclo di vita della tua azienda, infatti, potrebbe capitare di avere difficoltà ad affrontare uno o più debiti, magari anche per via di una gestione della liquidità un po’ approssimativa. Questo però non basta perché si possa parlare di fallimento.
Ad ogni modo, è bene ricordare che lo stato di insolvenza di un’azienda non arriva all’improvviso. Al contrario, l’insolvenza è il frutto di scelte sbagliate nell’ambito della gestione del flusso di cassa. Scelte che, a lungo andare, portano inevitabilmente al fallimento dell’impresa.
Da chi parte l’istanza di fallimento?
L’istanza di fallimento è la richiesta che viene depositata alle autorità per dare il via al procedimento fallimentare. Si tratta insomma di un atto pubblico, che serve a dimostrare il sussistere dei presupposti che abbiamo prima menzionato.
La richiesta di fallimento conterrà quindi anche informazioni relative alle condizioni economiche di un’azienda, così che il giudice possa attestarne lo stato di insolvenza. Per tale motivo, in genere, l’istanza di fallimento parte dallo stesso imprenditore.
Infatti, se la tua impresa si trova in gravi condizioni economiche, al punto tale da non poter più pagare i debiti, l’unica strada possibile sarà la dichiarazione di fallimento. Dovrai quindi presentare l’istanza in Tribunale, nel foro di competenza, e dichiarare che ti è impossibile risanare i debiti. Ma attenzione.
Quando non saldi un debito – a prescindere che si tratti di un debito nei confronti di un investitore o un fornitore e così via – ti ritrovi comunque in una situazione scomoda.
Poniamo il caso, per esempio, che uno dei tuoi fornitori non abbia ricevuto ancora il pagamento pattuito. A quel punto, pur di recuperare i soldi che gli spettano, questo potrebbe agire nei tuoi confronti, presentando appunto un’istanza fallimentare.
E succede anche con i dipendenti. Gli stipendi non pagati sono di fatto debiti da sanare. Pertanto, i tuoi dipendenti hanno tutto il diritto di avanzare una richiesta di fallimento per ottenere le somme dovute. Insomma, in estrema sintesi, anche i creditori possono far partire un’istanza fallimentare a tuo carico. Ed è un problema non da poco per chi gestisce un’azienda con tutte le difficoltà del caso.
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Il fallimento di un’impresa e le sue conseguenze
Com’è facile immaginare, il fallimento di un’impresa non è certamente una situazione auspicabile, dato che le sue conseguenze si estendono ben oltre il danno patrimoniale.
Possiamo sintetizzare gli effetti negativi del fallimento, menzionato i tre campi su cui si ripercuotono. Ovvero:
- finanziario;
- processuale;
- personale.
Dei tre, è certamente il primo quello che viene più temuto. Le gravi conseguenze sul patrimonio spesso rischiano infatti di compromettere anche la futura ripresa dell’imprenditore.
Va comunque precisato che la dichiarazione di fallimento non comporta la perdita di tutti i beni. L’imprenditore rimane proprietario dei suoi beni dopo il fallimento, ma non ne avrà più la piena amministrazione.
È una procedura che si chiama spossessamento, e che riguarda qualsiasi tipo di bene – che sia mobile o immobile, ma anche una pura proprietà intellettuale come un marchio o un brevetto. L’unica eccezione sarà rappresentata dai beni di natura strettamente personale, quale può essere un’indennità o una pensione.
Tutto il resto verrà affidato al curatore fallimentare, una figura chiave nel fallimento di un’impresa. Il curatore fallimentare viene nominato dal Tribunale stesso e si occuperà di amministrare i beni e l’impresa, nonché di affrontare il procedimento per fallimento.
Dobbiamo sottolineare, comunque, che lo spossessamento ha anche una diretta conseguenza sugli atti patrimoniali che potresti aver firmato dopo la dichiarazione del fallimento, che verranno a quel punto considerati nulli. È il caso per esempio di:
- atti di donazione;
- cessioni;
- alienazioni;
- ecc.
Insomma pur rimanendo proprietario dei tuoi beni dopo il fallimento, non potrai deciderne la sorte. L’altra conseguenza negativa già menzionata riguarda invece l’aspetto processuale. Un imprenditore che ha dichiarato il fallimento non può stare in giudizio, in nessuno dei procedimenti che riguardano per via diretta o indiretta il fallimento.
Anche questo ruolo spetta al curatore fallimentare, che di fatto prenderà il tuo posto per tutta la durata del procedimento. Il fallimento di un’impresa però si ripercuote anche sul piano personale, come abbiamo già detto. Quando viene dichiarato il fallimento, l’imprenditore che ne è vittima perde la possibilità di ricoprire alcuni incarichi.
Dunque, se dichiari il fallimento, non potrai più essere nominato:
- tutore o curatore di minore;
- amministratore di società;
- curatore fallimentare;
- e altro indicato nel codice civile come incapacità del fallito.
Senza dimenticare un altro aspetto importante: la cancellazione dagli albi professionali. Un imprenditore che ha dichiarato il fallimento verrà cancellato dal suo albo professionale, qualunque esso sia – albo degli avvocati, notai, commercialisti, ecc. Pertanto non potrà più esercitare la sua professione.
La questione delle conseguenze di un fallimento è comunque molto ampia, ed è difficile riassumerla tutta in un articolo.
Quello che è importante sottolineare in questa sede è l’impatto negativo che un procedimento di questo tipo può avere non solo sull’impresa che viene liquidata, ma anche su chi se ne è occupato fino a quel momento. È chiaro dunque che dichiarare il fallimento non conviene in nessun caso. Al contrario, il compito principale di chi amministra un’impresa è quello di evitarlo a ogni costo.
È possibile evitare il fallimento di un’impresa?
A differenza di quanto si crede, nella maggior parte dei casi il fallimento di un’impresa non arriva per colpa della crisi economica o per via di un’idea imprenditoriale sbagliata.
Un’impresa fallisce a seguito di decisioni scorrette e passi falsi in merito alla gestione della liquidità e del capitale. Succede, per esempio, quando sottovaluti la pianificazione della liquidità, e non riesci a trovare un equilibrio tra entrate e uscite nel corso dell’anno lavorativo.
Oppure quando il tuo capitale proprio è basso e devi contare soprattutto su finanziamenti esterni per mandare avanti la tua attività. Per evitare il fallimento di un’impresa – al di là delle scelte strategiche interne che certamente hanno un peso importante – devi prima di tutto imparare a gestire bene il flusso di cassa.
Trovarsi a corto di liquidità all’improvviso, infatti, non agevola l’amministrazione di un’azienda e costringe spesso gli imprenditori a decisioni finanziarie azzardate.
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